domenica 30 dicembre 2012

STALIN (estratto)

...le donne russe massaggiano il pane
le donne rosse assaggiano il cane
mangiano: fame! MIOcardio eccitato
Mio Dio gridano le donne russe
Mio Dio irrompono i cavalieri
Mio Dio non resiste la stoffa

Le case bruciano sciocche sul lago
riflessi ambigui di tribolati eventi
frangenti di tempo assopito
nefasto tra la trama e l'ordito
corrompono come corroborano
Sono loro! grida la babutschka
Sono loro! grida la stronza

Non sono delle vostre parti
sembrano non capirlo a sufficienza
affondo nel fango, infrango lo sfondo
brucio un tondo sulla camicia
Buk dice disonore! Io dico omaggi
omaggi alle signore, omaggi nostrani
il sale è arrivato, la donna piange

Non teme il buio, il caldo nome
lei sa e promette, mi intercetta
la donna russa si china su me
quale incanto la sua armatura d'acciao
riluce come mare d'un sole morente
come antri lontani racchiusi nel buio
come forti più forti dell'animo scuro...

domenica 16 dicembre 2012

Pisolino Pomeridiano (di Claudio Calboni)

Mi sveglio.
Sudato, confuso.
Battito accelerato, fiato corto.
Annuso: forte odore di merda.
Sono io.

martedì 27 novembre 2012

A egli medesimo

Membra pesanti, spostamenti lenti
sguardi vuoti, occhi spenti
discorsi astratti poco interessanti
vizi coltivati in molti campi
inconsistenti spiegazioni per gli astanti
solo più altri pezzi mancanti.

lunedì 12 novembre 2012

SAGUIA (San Francisco)

Sul ponte dell'onore
scelgo l'onere leggero
e non mi curo dell'alone scuro
che il tuo muro fa sul mio.

giovedì 8 novembre 2012

sabato 3 novembre 2012

Il fabbro alle porte del cimitero

Mi dicono
Guarda nei cerchi
Nei cerchi di suono
Cerco me stesso
Trovo ciò che non sono
Mi circondo di me
Solo et pensoso i più deserti campi
Vo mesurando a passi tardi et lenti
Ma perdo il tempo
E inciampo in un sasso
Interprete fallito
Titoli sui giornali
Nemici giurati
Mosconi defenestrati.

giovedì 25 ottobre 2012

AZNALUBMA

Dedicata ad A.P.

Certe notti
insonni
sento le sirene
lontane nel buio
e spero
siano per il mio corpo
freddo e morto.

martedì 9 ottobre 2012

Come pensieri in un sogno

Non risvegliare i vecchi fantasmi
dormono tranquilli, giacciono sul fondo
disposti a caso come antichi chiasmi
non nutrono né attese né speranze
né vogliono un demiurgo che li plasmi
ma rimanere inerti nelle loro stanze:
sono ampie e comode e senza timore
non conversano né volteggiano in danze
non contemplano il volgere delle ore.
Lasciali! Disturbarli è inopportuno
tormentandoli ne risvegli il dolore
la rabbia cieca che non giova a nessuno
le disfatte dell'animo e il fallimento
l'atroce inganno del nero pruno
la mollezza che viene da un tossico evento.
Come pensieri in un sogno di ieri
tornano indietro con sguardo spento
dicono Non sarai mai più com'eri!
Ringrazio loro, il destino e me
i percorsi ilari, buffi e quelli seri
ma non mi volto, non chieder perché;
dormono i fantasmi e giacciono
ognuno un poco più dimentico di sé.

martedì 14 agosto 2012

Ernst Baltrusch

Le fila serrate mi scrutano l'anima
Lo spazio mi spiega teoria e pratica
Sdrucciolo su queste righe sabbiose
Riporto alla mente cagne rabbiose
Abbaiano dall'abbaino dell'abbazia
Rammenti quella sera in cui fosti mia?

Il sole calava dietro il Taigeto
Hai detto: chi scrisse l'Amleto?
Quanta vanagloria, quanta morte ancora
Pria che 'l fato trovi dimora?
Ma al quesito nessuno rispose
Nessun sopravvissuto sulle cime nevose

Ma allora a chi canti, o Capro dorato?
Canto per me e per tutto il teatro
Canto per Giove e per Bacco, per Diana!
Per entrambi, il pantalone e la sottana
Tu che fai domande, non ascolti le risposte?
Raccolgo fasci di speranze mal riposte.

venerdì 20 luglio 2012

DOVE I MORTI HANNO PERSO LE OSSA

Piove mentre plano su me stesso,
piove su quelle stesse pellicole che mi indottrinano che mi mettono sotto il naso un bicchiere che sa di petrolio, birra e cicche
ovatta e calzoncini corti che inseguono un cane.
Sono un deltaplano sospinto dai venti di scirocco e libeccio, e nature erranti e ninfe con grandi occhi e costumi dalla maglie intrecciate nel fieno
e poi mi dicevano Perché non ti svegli, non ricordi più le nostre avventure? Giocavamo e ridevamo interi pomeriggi. Noi siamo la spina più grande, non ci senti ancora perché siamo troppo in profondità per la tua sensibilità da ornitorinco.
Un topo sul vassoio mi ha suggerito la risposta: ...
Due uomini si incontrano: Ciao, come va? Tutto bene, grazie. E tu? Anch'io, grazie. Le piacciono i fiorellini? No, preferisco i nodi e le imbarcazioni. Capisco... No, non si preoccupi, non è necessario, davvero! No, si figuri, ci tengo. Tengo molto a immedesimarmi in lei e tentare di capire, anche se probabilmente la mia empatia resterebbe comunque imperfetta. Me lo permette? E va beh, se proprio insistete, ve lo concedo. Ve lo porgo in dono. Io: il Personaggio #1, dall'alto del mio onorevole seggio, eretto illuminato dalla divina provvidenza, la omaggio della mia magnanimità. Ecco, a te il permesso di farmi compagnia nella comprensione reale dei fatti. Ahi che dolor!
Cha cha cha! Non sono interessato ai movimenti di quei vostri pitali che chiamate teste. Nostri. Il pensiero è merda. Merda per pesci in calore. Transazione effettuata. Fine della conversazione amico.
Fine della conversazione, amico. Forse non è chiaro. Oscùrati l'otturatore.

Un uccello vola e annuncia il futuro: il capro più non canterà.

Un koala con coazione a ripetere smarrisce il senso dell'orientamento, cade e si frattura due costole, un femore, l'arteria di nonno Johnny, sette prosciutti, otto vergini arabe (destinazione paradiso) e quattro chili di bagagli francesi che sicuramente ci faranno identificare come ricchioni. Incapace!
La prima volta che mi ero recato al ponte fumavo da pochi giorni. Faceva caldo e la camicia era madida di sudore. Come la mia fronte, su cui si combatteva un'aspra battaglia di trincea tra chi e cosa, e come e quando, e Gino e Pino e tutti quanti. E poi da un albero si staccava lei, dolce frutto della bassa california, chi sei per dirmi questo? Altre promesse avevano animato i miei pensieri, i miei desideri più profondi la mia miscela di nutella e burro d'arachidi.
Un nuovo biglietto per la vacanza di papà è sul tavolo. Attende una mano sicura e certa, provata dagli anni, temprata dalle strette di mano. Le aquile non si curano delle mosche! Le aquile non si curano delle mosche! Troppo vero, troppo finto e irreale da questa parte.
Ma di là... Beh, di là, è tutta un'altra cosa.

Chissà cos'era o chi era quell'espediente. Qualcuno se lo ricorda? Qualcheduno rammenta le risate? Nessuno. Ho sentito dire che non ci sono quasi neanche più vampiri a New York. Inaccetabile. Come inaccettabile rimane questo affidamento ai divieti.Senza inventiva, sempre con le stesse parole. Quanto saranno diverse dai vagiti di un neonato o dai latrati di un cane? Può una capacità di costruzione del discorso e di speculazione attiva di ogni borseggiatore di anime, può giustificare tutto questo? E chi decide? Per colpa vostra io non posso decidere come vorrei. E non solo io. A me pare una grave violazione dei diritti umani. Stato di natura... viene in mente niente? E cosa diceva Ugo Grozio a proposito dei mari? Diceva che erano liberi. E ribatteva un certo Selden (non sono sicuro del nome, un inglese comunque) che invece la consuetudine dava il diritto al possesso. Vedi tutta la storiella del Mare Britannicum o qualcosa del genere. Qualcuno se lo ricorda?
No. Nessuno.
Ma allora perché esisto? Nessuno sa della mia esistenza, nemmeno io, perciò non dovrei esistere. Sono una particella subatomica non ancora scoperta che attende la giusta scissione per andare in centro a fare compere e due chiacchiere con le amiche. Ma soprattutto per farsi scoprire. Oddio, ora esiste, è giustificata. Ora: io, che giustificazione ho? Chi mi da un conforto adeguato alle pene che soffro? Sì, c'è. Hai vinto.

Ma dunque chi era il dottor Robinson? Un piatto di riso per il ciccione qui affianco. Si crede un tipo a posto ma è solo un montato: guardalo: strafatto di chissà cosa, Dio solo sa dov'è andato, conciato marcio ad far piangere, Dio santissimo. Sia lodato il Signore - interviene la moglie coreana seduta lì affianco. Stai zitta, puttana! - le grida addosso lui. Un uomo in giacca e cravatta entra nel bar.
Suspense.
Mi guarda fisso e intenso e mi dice
L'alba dei miei fiori splende sul mio capo
io sono la speranza, io sono l'albero della vita
io sono la speranza, io sono radice e frutto
fungo e mela caramellata, nella buona e nella
nella buona e nella cattiva sorte, finché morte
non ci separi. Poi però quando ci riunisce basta.
Penso che devo smettere di farmi leggere poesie da chiunque, alcune mi fanno troppo ridere e se cerco di prendere per il culo qualcuno esce fuori un discorso serio in cui sono in minoranza. Aiuto! Qualcuno mi sente? Mi percepite? Esisto? O mi sento solo io? Come faccio a non isolarmi? È così comodo.
Molte risposte si trovano nella reincarnazione delle fibre ottiche delle manguste dalle lingue biforcute. Perché non sempre, lo ricordo, è indispensabile sapere.
E questa volta? Lo è?
Ebbene... no... NO! Non lo è!
Una preghiera per morire, due salmi per mangiare, tre ave maria per scopare. Ma fottiti, troia.

Sì sì, non v'è alcunché, questo è il titolo del motivetto che fischietto a sessanta battiti al minuto, schioccando le dita come Lelan Palmer, mentre cammino sotto i salici in fiore della nuova stagione. Come sono freschi, come sono belli - queste le parole che mi hanno insegnato a dire.
spengo il metronomo, accendo una sigaretta: aaah!, l'aria di montagna! Conflitti mai risolti con se stessi ci portano a diventare ciò che siamo. Solo il marcio si attacca alle nostre condutture. E quando ci sentiamo più liberi ci guardano come pervertiti
Io sto bene! gli vorrei gridare, tu sei il Masochista Intorpidito. Il mio collega sommelier - un sommelier donna? ma va là, non lo vedi che è un travestito! - era capo agli uffici immigrazione e diceva sempre: No! Quelli luridi come voi dovrebbero restarsene a casa loro, brutti vermi bastardi.
Ci ha stesi ragazzi. Danny!, suona la ritirata - signore!, non so suonare la tromba - Danny!, nessuno conosce la ritirata, fai un suono a caso e andiamocene, per Diana - signore!, pfftwuuu tweeiiitwuuuuuuuu - Danny!, ben fatto. Danny! Danny, ommioddio! Danny è morto tremilacinquecento anni fa nella steppa della frisia minore, accanto alle rocce dei titani, sotto le gole degli dèi, tra i suoi escrementi putridi, puzzolente di sterco e marciume. Da qui il detto c'è del marcio in Danimarca. Questo era il suo vero nome, anche se tutti lo chiamavano Danny. O checca. Un giorno Shakespeare mi citerà, ma nessuno dovrà saperlo o il segreto delle fasi lunari sarà finalmente svelato: non è pericoloso confondere gli angeli con i bambini.

Chi è l'idiota ora?
Stammi a sentire, tesoro - egli disse - ti racconto una storia. La storia di due innamorati che si incontravano sui tetti. Lui era un ragazzone forte della borghesia muratoria. Lei una dolce ragazza figlia del grassoccio costruttore di case, alle cui dipendenze lavorava il nostro eroe. Bene, mia cara, forse non te lo immaginerai, ma loro si amavano, si amavano come non mai. Bruciavano le loro vesti per non poter avere ricordo alcuno.
Ma funzionava?
Non è questo il punto. Ma se vuoi metterla su questo piano allora forse dovrei anche dirti che in realtà quel tetto era una strada e lei una battona da quattro soldi e lui? Beh, lui è il bello. Una farfalla che si appoggia sulla mia spalla e mi guarda. Entra nei miei occhi e scompaio.
Chi era Ernest Hemingway? Un uomo con un fucile. Amava. Nessuno sa se mettesse a posto i libri. Non ho mai sentito nessuno parlare a proposito dell'ordine o del disordine tipico - dai lo sanno tutti! - del signor E.H., ecco tutto. Non dico che sia necessario saperlo o che tutti vogliano saperlo o che lo si debba elogiare o biasimare per uno qualunque dei risultati. Mi pare altrettanto naturale che io giudicherò, una volta saputo il particolare interessante, ma questa parte non vi riguarda. È mia e solo mia.

Nome di qualcuno.

Non mi pare di lavorare in un ambiente sano. Muoio ogni giorni un pezzetto e in men che non si dica sarò tutto morto. Questo è lo spirito giusto. Bravi ragazzi, sono commosso.
Commosso dal vostro savoir faire, dalla vostra pronuncia del latino, dalla forza che mettete nel vostro essere pronti a prendermi sempre e comunque. Ma chi è il folle?
Folle? Masse di gente in movimento? Onde di umani che si infrangono lungo le rive dei fiumi francesi. Pizze rosse e gialle che roteano sulle pale dei mulini. Io sono il mugnaio, voi chi siete?
Noi, beh, noi siamo stranieri.
Stranieri che imbrattano il mulino lanciandovi contro pizze gialle e rosse, come le pinze del più ricco dei dottori. Gialle come i prati che ci piace sorvolare mentre sprofondiamo nel divano per un po' di meritato riposo.
Guarda, mi sfianca così tanto farmi di oppio per scrivere poesie sui fiori che dormirei tutto il giorno - non me ne parlare, che quei ghiacci verdi di due giorni fa non li ho ancora mica digeriti - ma dai, e io quei cetriolini di tua madre? Lo stesso, te lo giuro!
Sì, ma questo cosa c'entra col mio mulino?
Ma io volevo solamente essere gentile!
Con la gentilezza non si risolve mai nulla.
Quante negazioni! Lei ci si raccapezza?
Mi ci raccapezzolo eccome!

giovedì 12 luglio 2012

Un avaro passato

Ero una bambina che si vestiva di giallo e turchese, con le calzette arancioni. Correvo nei prati della mia infanzia a braccia aperte, con il sole in fronte
Mamma cucinava per tutti e la sera mi sgridava perché non dormivo, papà si sbronzava e ruttava sul divano davanti alla migliore amica di sempre: la tv
Poi quando voleva soddisfare il tatto andava al bordello
Tommy suonava il piano lì, doveva avere pochi anni più di me, era molto simpatico; una sera l'ho baciato e sono scappata via
Qualche giorno dopo pioveva, mi ha stretto forte un braccio

Un mattino incontrai un punto esclamativo, stava lì, ritto sul ciglio della strada e mi guardava. Fisso, come un pesce appeso all'amo di un corpulento norvegese
Il gancio di morte gli usciva dal naso Permette?, glielo tolsi
E così lei legge Tolstoj...
Sì, ma solo per noia, e genera noia, non entusiasma, Dostoevskij mi stupra di più, dolce e violento, gocce e vento e storie da raccontare.
Mi chiese la strada per Farrafur, gliela incisi in fronte e gli feci un regalo:
Uno specchio.

Mi piaceva nascondermi dietro la sdraio, l'accento francese di mia mamma mi bacia i padiglioni e li riempie di conferenze senza pagliacci, di ciarlatani e ciabattini e suonatori di tamburi e pelli e galli e gatti e matti e e e e e una fabbrica di talco
Giocavamo sulle piastrelle rosse e inorridivo per i ragni e per chi se li mangiava a colazione Come diavolo fanno? Non si sentono male?
Forse non è la frequenza giusta
Quella per le adozioni è la 754,900° in via della cartapesta 0
Poi giri a destra e dritto fino al mattino, se ti perdi poi c'è il rischio che vinci un biglietto di ritorno per la terra e ti risvegli settantenne con le ovaie rinsecchite
E io non volevo
Cosa fare dunque? Sposare Lou Reed?
Inconcepibile!
E tu chi diavolo sei? Un mucchio di polvere
E che cosa vuoi? Niente, parlavo al telefono

Non ha senso!
Cosa vorrebbe dire che non puoi? NON PUOI? Mi sa che non vuoi
Mi rimbombava nella testa in ogni attimo, in ogni istante il tizio alla mia destra suonava la tromba Paa-pa! e le sostanze creative diventavano acide e i polsi tremavano... gli occhi di Tommy...
Non ero ancora pratica della zona, ma la scuola mi sembrava in una buona posizione
Coca alla stazione, Fanta dal panettiere e un cannone al porto, quante navi abbiamo affondato
Quanti ammiragli ci hanno rincorso, pipa e cappello, bottoni d'oro e macchie di sperma sui pantaloni È difficile stare soli per tanto tempo, mi capisci bambina? Mi guardava freddo come il marmo, una carta di socio al Male lo inchiodava
Era lui! Ero io.

Poi ho cantato, anche se mi bruciavano gli occhi.

domenica 17 giugno 2012

Intruglio

Gocciolo e mi sbriciolo
corro e scivolo
la faccia nel fango
segatura e polistirolo sulla lingua
mi assento e manco
torno ma son di troppo
ogni soluzione ha il suo intoppo
sono un miscuglio
non ti assomiglio
evaporo in un alone sul soffitto.

lunedì 4 giugno 2012

FHCHYF

Flesh.
Human decay.
Candor of death.
Hold your breath.
You're the pray.
Flesh.

venerdì 1 giugno 2012

Rossetto e minestra fredda

Jack Hemp, il nostro uomo
Cammina avanti e indietro sul marciapiede
Attende
Ecco una donna, è sua madre
Jack Hemp, il nostro uomo
La fa salire in auto, le spara in faccia, il sangue sul finestrino
Restate tutti ai vostri posti
Jack Hemp, il nostro uomo
Si dirige veso il fiume e scarica il cadavere
Butta la spazzatura, aspetta che il cane abbia finito
- Allora, Jack? - Il cane non può tollerare ritardi
Risalgono in carrozza e smacchiano le pelli
Li seguo a distanza
Spengo gli occhi del cavallo per non farmi notare
Jack Hemp, il nostro uomo
Si guarda in giro sospetto
Si fa un taglio sul braccio e lascia cadere sangue su una tomba:
Una macchina da presa sullo sfondo
Intervengo, sgozzo il cane, mi fissa affranto
Me lo immagino vestito da cameriere a servire in un ristorante cinese
- Fuma un'ultima sigaretta, cane, sarà la tua mancia per stasera.
Bella roba
Intanto la minestra si addensa
Le lettere formano una parola: S A N G U E
Ma non mi fido di nessuno
Jack Hemp, il nostro uomo
Torna a casa di corsa, prende il rasoio e divorzia
Lo seguo, sfondo la porta con un calcio
Mi cade il cappello, non c'è tempo per raccoglierlo
Jack Hemp, il nostro uomo
Sbuca dall'angolo cottura con la pistola in mano
Ci guardiamo
Siamo in stallo, muggiti in sottofondo
Jack Hemp, il nostro uomo
Tiene i suoi occhi di fuoco nei miei di cenere
- Hai vinto, Jack.
- Lo so.

domenica 27 maggio 2012

Domenica di Pentecoste, mattina

Un signore in abito nero s'avvicina
M'indica l'alba e fugge
Prendo la fotografia e la scruto con attenzione
Sono dentro una fotografia, l'ascensore sale, l'ascensore scende
Le pareti sono cosparse di me, l'uomo torna e mi assaggia
Servitelo! - mi caricano su un vassoio
Cioccolato per farmi Nouvelle, mi truccano
Chiedo di poter avere una mela in bocca
La sala è luminosa, gialla, con grandi tende strappate
Occhi mi fissano, capelli mi fissano, orecchie mi fissano
Ho sentito dire che molte orecchie non captano
Mi afferrano gli arti con i tentacoli unti
Il grasso degli infanti prodigio cola copioso sul loro grembo
Non sento dolore, nessun dolore, non sento niente, nessun dolore
Mentre mi gustano facciamo conversazione
Capisco che è ora di togliere il disturbo - Bella giornata oggi, vero?
Non parlo del tempo con gli sconosciuti, non ho tempo
Un unguento anche per me, poi lo strigile e un paio di stivali
Esco zoppicando dal Mattatoio
Una donna in maschera balla in mezzo alla strada, è nuda
Orrenda, disgustosa, affonda nel suo ventre un frammento di bottiglia
Mi guarda disperata, accorro, mi taglia la gola
Mi guarda disperata, resto immobile, la guardo morire
Sento la sua vita che scivola sul selciato, in vista della chiesa
Corre verso il sagrato per ricongiungersi al logos, ma il tombino la ferma
Insidie sparse e mutevoli, non sanno di fogna, ma brillano e profumano
E i topi sono amici e camerieri ben vestiti
E il veleno industriale è vino rosso o whisky invecchiato
Chiamo il Sole, ci facciamo due risate pensiando ai vecchi tempi
Poi siamo seri, la Luna è morta - Davvero, quando?
Poco fa: si è squarciata il ventre con del vetro infetto - svengo
Disinfetto, taglio, cauterizzo, cucio
Che lavoro fai? L'infibulatore
Scaccio il re e dormo con la regina, un cavallo mi sodomizza
Il re sale sulla torre e si uccide
Che faremo ora? Scrivo a casa: mi sono offerto
Steso su una pietra gelida, mio padre mi guarda col gladio in mano
Il Padre scherza, ma io muoio comunque, i miei visceri sull'erba
Dormo e sogno di essere un fiore
Una pecora si avvicina e mi mangia
Una bimba si avvicina e mi raccoglie
Io mi avvicino e mi calpesto, incurante, in preda a me stesso
Che animale sono? - rantolo nel buio della mia ignoranza
Un fazzoletto sporco mi copre, mia madre che mi rimbocca le coperte
Ho caldo, è notte fonda, sono calvo
Le carni flaccide, la barba bianca: devo mingere di nuovo
Mi alzo ma cado
Mi rialzo, una donna con voce stanca - va tutto bene?
L'ho vista morire e mi ama, chissà da quanti anni
Ma non ho più tempo, il pranzo è in tavola
Il corpo del Figlio è lavato nel vino, la colomba mi mostra la strada
Gettati nel fuoco e saprai - non esito
Gettati nel fuoco e sarai - non esito
Gettati nel fuoco - non esisto più.

giovedì 24 maggio 2012

NEON ON POESIA (per tutti)

Introduzione:

Si tratta di due storie parallele (a versi alternati), che si incontrano alla fine della composizione.
A: versi relativi a noi
B: versi relativi alla donna


Parafrasi:

Apocalittici prodromi meteorologici Il tempo è cattivo, si preannuncia un temporale
la monna tutt'intenta al gastroenterico negozio La donna, mentre stava defecando con fatica,
imperversano nell'idiosincrasia trasudata Odiamo esageratamente questa situazione
s'appropinqua al citerior volume Allunga una mano per prendere un libro
prostrano la brama dell'estrinseco Perchè ci costringe a restare a casa quando desideravamo uscire
ma d'improvviso turbata arresta la fatale Ma d'un tratto si ferma, come colpita da un presagio.


Assai m'appare curiosa la contingenza "Che caso!"
cristallizzare marcescenti attrae noi triti Ora il nostro unico desiderio è putrefarci sul divano
d'invero anch'essa ausilia l'intreccio

Tuttavia ogni evento è gradito
maldisposti dall'increscioso perdurare Poichè il prolungarsi del maltempo ci indispone,
tal che non possa proferir lamentazioni Quindi non mi disturba troppo.
questuiamo requie ritratti nell'onirico Quindi cerchiamo riposo nel sonno / sogno.


Ranco marmoreo e trepidante trillo Ci arrampichiamo sulle scale e suoniamo il campanello
il lento incedere al soglio vetustoLa donna arriva lentamente alla porta
agognanti captiamo orrorifici gridi Da fuori, in trepidazione, sentiamo delle urla spaventose
un ansimar sommesso profonde a lei Sentendo dei respiri affannosi
scricchiolii che gracchiano la intrudono Il rumore dei suoi passi ci fa capire che sta venendo ad aprirci
d'innanzi scorge due non-trovatori spersi. (Aprendo la porta) -trova davanti a sè due non-poeti spaesati.


Parafrasi

Narrazione A: Siamo due non-poeti. Piove, e non possiamo uscire. Ci sediamo sul divano, e sprofondiamo in un sonno turbato. Sognando, ci ritroviamo di fronte ad una porta, in cima ad una scalinata di marmo. Suoniamo il campanello, sentiamo delle urla agghiaccianti e dei passi che lentamente si avvicinano.

Narrazione B: La donna, in bagno, sta espletando i suoi bisogni fisiologici. Vorrebbe leggere, ma viene colta da una strana sensazione. Si alza e va ad aprire la porta, trovandosi di fronte a due non-poeti ansimanti e fuori luogo.


venerdì 18 maggio 2012

I mattoni sono pesanti

Mi tremano le mani mentre scrivo
Vergo su tavolette di cera i miei segreti più intimi
Parlo di me come di una persona che conosco bene
Traviso e travalico i limiti del mio spirito
Sbaglio: un'esperienza da non ripetere è un'esperienza fatta
Prendo coscienza dei miei errori.

lunedì 7 maggio 2012

Libert-A, riflessioni minime 1.1

Grida il tirapiedi che fa propaganda
SICUREZZA
TRANQUILLITÀ
SALUTE
MODERAZIONE
Pomodoro sulla fronte della società
Sospeso per maleducazione
Gide che si masturba adolescente
Sono un animale, voglio morire quand'è il momento
Voglio uccidere, voglio correre e scappare, voglio dormire
Senza i tuoi occhi sempre incollati su di me
Tieni lontane le tue mani che sanno di merda.
 

sabato 5 maggio 2012

Occasionale ritardo

Un trapano scava e mi buca le orecchie
frequenze nelle ossa, negli occhi petecchie
Un uomo mi parla, ha una voce ovattata
nata per prendere, tu per intendere
Mi tortura di nuovo -
esplodo come vetro al fuoco
Riprendo fiato in un momento di requie
una pausa per la festa e le mie esequie
Poi la macchina si rimette in moto
nuoto come un pesce rosso nel vuoto.

mercoledì 2 maggio 2012

Non eravamo niente

Non eravamo niente ma restavamo lì
immobili, ambigui, sfocati, evanescenti
ombre sulle scale nel sole di maggio

cenere sulle scarpe di un miraggio
avanzi masticati di giovani menti
non siamo niente ma restiamo qui.

giovedì 26 aprile 2012

A strange evening

Mi scuso con Emerlist.


What am I going to do with my life? Sometimes I realize that, if I died tonight, I’d probably leave many things undone. That’s it. This thought leaves me astonished. I suddenly realize that people often do projects, delay things, and don’t act just because they are (wrongly) sure that they’ll have time in the future. Take, for example, my best friend. She has always delayed any attempt to rebuild a successful and meaningful relationship with her cousin; she did so in the name of a presumptuous hypothesis that her cousin wasn’t in her highest priorities. Then, suddenly, her cousin tragically dies, being a never-forgotten 17-years-old boy who was heartbreakingly denied of any bright future. And what is she left with? With the eternal sorrow of never being able to clarify everything with her cousin. Is that what we are aimed for? Should we really let our life fade away without any order? I, sincerely, don’t think so. Even though we may know hundreds of people (but do we really know them?), - and even though I agree with the fact that it’s impossible to get in touch with all of them, just for saying you’ve lied to them five years before – I personally believe that anyone of us should wonder whether the relationship with someone else (in fact, anyone from the list of your acquaintances or friends) is well built or, instead, based on some white lies or similar. That’s what I mean: anyone should check, within himself, for one specific thing: transparency in relationships. Is that impossible to achieve?
From tomorrow (you aren’t really going to die tonight, right?), be focused on this purpose, either to reestablish older relationships, or to safely create new ones. Call your old buddies, and fix everything. You’ll feel better, and you may even die without regrets.

sabato 7 aprile 2012

Controllo

Training autogeni: non funzionano
Non funziono io, non funziona niente
Sono un elettrodomestico rotto
Un agente Smith troppo programmato
GUARDAMI! Cosa vedi oltre me?
GUARDAMI! GUARDAMI!
Dove il fuoco late e tutto suole
Ritto sto nella tenebra opaca
I miei contorni contro il buio
Stampo neri vestiti di fiori
I colori si liberano e vibrano
Pindaro vola con loro nella notte
Io sono nella botte, moderno Diogene
Ma vigliacco e senza sole
Macchie sporche sul mio capo
Sotto il vomere di un aratro.

giovedì 5 aprile 2012

Essere Cosa

Sono. Né voce né pensiero.
Sono. Nessuna funzione.
Sono. Né azioni né intenzioni.
Sono. Nessuna essenza.
Sono. Né verità né finzione.
Sono. Nessuna esistenza.

lunedì 2 aprile 2012

Significant Nothing

I have Nothing to wake up for
I have Nothing useful to say
I do Nothing to change this way
I owe Nothing to anyone
My life is Nothing
But it is the only thing I've been left with
Nothing, I'm not gonna give you away that easily
You are my significant Nothing

sabato 31 marzo 2012

Atlantic City 1224

Le nuvole sopra di me correvano veloci, bianche sullo sfondo verde del mare in cui banchi di pesci nuotano, si sfiorano, fanno l'amore e la cacca. Camminavo su ciò che restava del viale accanto al porto Beccati questo tramonto, Los Angeles. Pensavo molto a Los Angeles in quel periodo, ma volevo andare a New York, volevo infilarmi in uno di questi posti fumosi dove un negro batte su un piatto e altri due stronzi fingono di fare musica. Quello è Jazz, la suprema arte, chiamarlo musica significa sminuirlo.

Il mio soggiorno newyorkese non mi aveva soddisfatto, fuggivo come uno che fugge da sé, ma io ero in treno e questo aumentava di molto la mia velocità. Le rotaie friggevano sotto le ruote, incandescenti tizzoni d'argilla piovevano sui passanti, li vedevo e pensavo Magari ci fosse il vagone ristorante. La fame mi lacerava, ma io laceravo il silenzio ruttando più forte di quanto il texano affianco a me potesse russare Perdoni se l'ho svegliata, sua moltitudine! E riprendeva il sonno come il più tenero dei bambini, quello che vorresti gettare nel pentolone e mangiare con ketchup e senape. Intanto morivo su un sedile, poi giravo un poco, mi attaccavo al finestrino per evitare il controllore, il bigliettaio, la signora delle pulizie, il macinapepe e la serva di Tuxedo.

Aprile, dolce dormire. Mi scaravento giù per le scale con le mutande strappate - le portavo in testa all'epoca, il motivo è molto semplice: non c'è - entro in sala e grido Buon anno! ai sacchetti di sangue che dovevo consegnare all'ospedale. Facevo dei lavori degradanti, ma che mi permettessero di poter conservare la mia libertà, che non mi vincolassero con strane responsabilità di cui non ho mai avvertito il bisogno. Cercavo di usare la bicicletta, perché su quella ci sapevo andare senza problemi e non mi vincolava come un'automobile. Prendevo le sacche dalla "clinica" di L.T. - a distanza di tutti questi anni ancora non vuole che faccia il suo nome, forse teme che qualcuno vada a riesumarlo per sodomizzarlo o sfondargli il cranio con una vanga - e le portavo all'ospedale pubblico nel quartiere povero. Cioè il quartiere negro. Tutte le case erano di proprietà di negri lì, ma ormai ci abitavano solo bianchi troppo grassi per respirare da soli con figli che rotolavano anziché correre.

C'era una strana usanza in paese, si chiamava "Accendi il culo della cameriera", un gioco molto divertente. Mentre la tizia prendeva le ordinazioni le si avvicinava la sigaretta alla gonna (i più arditi riuscivano a farlo con le mutandine) e la si guardava ballare cercando di spegnere le fiamme col solo movimento - era l'unico modo consentito. Anche per questo il lavoro all'ospedale non mancava mai; e neanche ai pompieri.

Mi piaceva svegliarmi quando capitava anche nei giorni in cui avevo orari da rispettare. Chi sono loro per pretendere rispetto senza darmene? Avete mai visto un orologio fermarsi a salutarvi o stare in silenzio mentre parlate? Che vadano al diavolo! Così aprivo gli occhi e guardavo il soffitto e pensavo L'ho proprio dipinto bene! Poi un cane mi pisciava sui piedi e mi ricordavo che non avevo una casa: inconvenienti del mestiere. Cercavo gli occhiali tra la merda e i cadaveri e andavo a fare colazione al bar più caro della città. Volevo molto bene a quella bettola: cibo non raffinato, conto non salato. Le ultime volte stava cambiando qualcosa, carta da parati nuova, lampadari funzionanti, cessi puliti, niente più topi e io che avrei dovuto mangiare? Non potevo vivere di Tetley, così, senza troppi ripensamenti, o forse con troppe poche riflessioni in merito, sicuramente senza salutare, smisi di andarci.

Avevo vissuto più di quanto mi sarei aspettato, molto meglio di qualsiasi previsione. Così, forse con troppa classe, semplicemente partii.

domenica 18 marzo 2012

Cassandra ladra d'immagini

Piove. La notte è qui da un pezzo, nessuno sa quanto durerà
Il rumore dell'acqua è come il fruscio di una radio mal sintonizzata
Come un cono che si slabbra se il volume dei pensieri è troppo alto.

Ululo bevendo latte scaduto, ne gusto ogni grumo come fosse vitamina c
Acido sale nelle viscere e torna in gola ma come al solito non esce
Sono una lattina d'odio gassato pronta a schizzare merda ovunque.

Medaglia poliedrica dai lati infiniti, mai finiti o mal rifiniti: ora vedo
Perdo ogni bisogno, cerco un posto dove morire in pace. Ho sonno
Domani ruberò una coscienza e la indosserò per un altro giorno.

Le stelle illuminano le nuvole, un puzzle si compone sopra di me
Mi guardo le scarpe: non ce le ho. I miei piedi affondano in una pozza
Alti muri a secco mi isolano, un secchio penzola come vorrei impiccarmi.

lunedì 12 marzo 2012

Conclusioni

per scrivere brutture.
ancorché motivo ulteriore
Futile

non esisterà soluzione.
in maniera postulatamente pedante e pedestre
per cui assiomicamente
che un problema al contrario
altro non sia
che un mondo capovolto
più che sicuro
Sono sicuro

domenica 4 marzo 2012

Bacheche e teche

Amici giapponesi che girano al largo dai guai
raccontano storie su motociclisti fantasmi
e s'impauriscono al suono delle loro voci
allo scricchiolio del mondo sotto i loro piedi.

Scrivo di loro come un reporter d'assalto
mi getto sulle loro forme e ombre luccicanti
mi attraversano e sono dentro di me
- senza dolore, senza colpa ci compenetriamo
mentre raschiano il fondo della mia anima.

Come ghiaccio sottile è questo momento:
mi atterrisce il peso della ragione e della coscienza
quest'autocoscienza che non ci salva e non ci condanna.

Vittima limbica, ecco cosa sono.

Le parole che cerco non esistono, è bello dimenticare
per chi sa farlo. Io non ci riesco, così ricordo;
prendo il the e mi racconto su tavolini rovesciati
in sale spoglie che ormai nessuno frequenta più.

sabato 11 febbraio 2012

Senso e pudore

Sinceramente: molte cose che vi piacciono
mi fanno schifo. Probabilmente non le capisco,
ma se ho una mente limitata con chi dovrei
prendermela? E perché, soprattutto? Non
mi sento a disagio, perché pensate che ciò
possa infastidirmi? Coda di paglia? Asino
che raglia? Sporca marmaglia? Sicuramente
non vincerò la mia battaglia. Gliaglia!

mercoledì 8 febbraio 2012

Hyrcanum mare

Profligati et feroces morantur in torpore simiae
comoediae quattuornummi
carmina docta qui nemine legerint scribunt, acquiescunt
in somno in laures sine propter
audiendas eius voces solliciti. Non cogitant, vivunt
et quotiescumque delabuntur semet
tollunt de terra, etiam atque etiam attoniti, magis atque magis
assuefacti vitis fictis pro fide.


- Vuol dire questo:
[Sconfitti e fieri indugiano nel torpore scimmiesco delle commedie da quattro soldi, scrivono poemi dotti che nessuno leggerà, si accontentano di dormire sugli allori senza preoccuparsi se la loro voce sarà udita. Non pensano, vivono e raccolgono se stessi da terra ogni volta che cadono, sempre più stupefatti, sempre più assuefatti a una vita falsa (asserita) con convinzione.]

- Si legge così (metro: sistema archilocheo terzo, o catalettico):
||Pròfliga|tì et fe|ròces mo|ràntur in // tòrpo|rè si|mìae||
||còmoe|dìae| quàttu|òrnu|mmi||
||càrmina| dòcta qui| nèmine| lègerint // scrìbunt,| àcqui|èscunt||
||ìn som|nò in| làu|rès si|nè prop|ter||
||àudien|d(as) èius| vòces sol|lìciti. // Nòn co|gìtant,| vìvunt||
||èt quo|tièscum|què de|làbun|tùr se|met||
||tòllunt de| tèrra, e|ti(am) àtque (e)ti(am) at|tòniti // màgis| àtque| màgis||
||àssue|fàcti| vìtis| fìctis| prò fi|de||

sabato 28 gennaio 2012

Nell'orecchio di Velluto Blu

C'è un ponte per sempre che nessuno chiederà di rilasciare
Una giostra sinistra ruota in senso orario mentre aspetto una nuova sinfonia
Iniziano i violini che scivolano aspri sulle pelli suine e poi altre pelli ora percosse
Un organo distorto mi richiama nella chiesa dei miei sensi
Si alza tutto, schiacciato dai piedi

Ora rimbalza tra le sporcizie del mio corpo, negli anfratti perversi delle mie sinottiche sinapsi
Mi prende uno sconforto cieco, un vecchio polacco che beve assenzio e liquore dei frati, quello che mi fece vomitare
Anche allora è stata vergogna: terribile inficiata da stoltezze rigorose come un film
Adesso che scrivo però è come se piangessi come se sentissi ogni singolo briciolo di me scivolarmi sulle guance cadere per terra e annullarsi di nuovo
In un bagno di materia che non pensa che non si identifica che non inneggia che non è
Solo dissoluzione come un disco rotto senza più speranza, come una sorpresa africana di fede e speranza
Dio è un passero rosso.
Come il babbo natale che si prostituisce su internet: è così brutta...
È notte nel mio pensiero, fuori dalla finestra c'è il buio di una tapparella e una lampadina verde funge da sole mentre guardo le mie dita danzare al ritmo di un quartetto di speranza
Hanno parole nuove, non sono di rabbia e non sono migliori, solo altri pomodori da aggiungere alla nostra insalata della decenza
Una società muore se il dissenso viene istituzionalizzato?
Cercano di farmi rimanere sui binari e ho paura che ci riusciranno, che diventerò un bravo treno e arriverò in orario e diventerò anch'io orribile come voi
E anche questo mi fa piangere e ho paura perché non capisco
Saluti persone sbagliate nei posti sbagliati, e sbagli il tempo della risposta e ancora è vergogna e tristezza immonda e pesante che di nuovo cala sotto i ponti della tua crisi
Non sono pronto per affrontare questo, voglio scavare un buco e nascondermi e mangiare la terra e gridare che sono morto che ormai non potete farci più niente che non avete più potere che non mi metterete mai più in imbarazzo con me stesso. Io sono cattivo, devo essere punito
Non mi nutro di vacche sacre e non ho un corpo santo da sgranocchiare, sento talvolta ma sono troppo stupido per formalizzare una ricerca e preferisco fingermi disinvoltamente infastidito dalle bestemmie a forma di cane che giungono alle mie parabole, non ci sono spazi per le intolleranze alimentari di questi maiali del nord
SECESSIONE IN PARADISO

La notte è calata
triste e sporca
ci nasconde le fruit
banale où nous mordons

Poi un segno nello spazio
topazio grezzo e un topo
grigio dal manto rosso
e più grinta per tutti

(1453)
Non credo sia giusto dire che quello che faccio è sbagliato; certo!, potrebbe essere migliore, ma anche il mondo potrebbe essere più bello, eppure non mi sembra che si faccia molto
Quello che voglio dire, Signore, è che è difficile pretendere virtù da se stessi quando il resto intorno è come muco raffermo
Non è facile, non è facile, non è facile, non è facile, non è facile, non è facile, quante volte l'ho ripetuto nella mia mente? perché percepiamo tutto in base quattro, perché certe cose mi affogano più di altre? E perché sono quelle sbagliate?
Come faccio ad accettare?
Come fate voi, ogni giorno?
Devo violentarmi: non voglio essere cattivo: però consequenziale: anteporre i fatti alle tradizioni orali: risultare come il ghiaccio nel fuoco e disperdermi nell'aria senza dover più bussare o camminare o guidare o pagare e potrò girare senza dover scegliere e sarò puro volere divino e soffio di angeliche correnti asiatiche
Guardo i vostri corpi in esposizione come scrigni di amara violenza persecutrice, sono più marcio di voi, parlo molto meno e più chiaro e poi ripeto che restandomene seduto col culo dolorante non succederà niente, ma io non so fare nient'altro. Lascia che tuo figlio faccia da sé le sue cose. Mamma, so parlare da solo, lo so che sono rosso e sudo, ma non devi aiutarmi, non voglio chiedergli questo.
Una volta, in cima a una collina c'era una canzone, niente c'era di sbagliato
Come si fa a parlare seriamente con chi si è sempre scherzato? Vedo pezzi dei miei ricordi come barattoli vuoti di fagioli azzurri sul tavolo dell'inettitudine - sono solo schemi, non esistono le parole adatte - mi tremano le mani e scaccio le mosche dell'innocenza alla ricerca delle nefandezze robuste degli animi più deboli e infidi
Agiscono come bestie istintive che prive di apparati cognitivi complessi sbranano ogni centimetro della realtà e le invidio e bramo la loro compagnia, ma mi stufo presto. Di tutto, anche di te e di noi e di tutti e mi vergogno di questo. Mi vergogno di tutto me stesso e mi ripiego su di me in una crisalide di lacrime nascoste nelle canzoni di Lolli
Poi premo pausa ed esco col cane.
Ho appena vissuto un momento che mi è stato descritto da una persona: è successo per davvero in mezzo a un fluttuare di ricordi e pensieri tristi e movimenti cerebrali pesanti come macigni che schiacciano il cuore fino al pianto e la faccia inondata di sangue in chiesa e la pubblica umiliazione alla domenica mattina: ahi!, quant'a dir qual'era è cosa dura
Perché non ho una cosa che funzioni bene? E perché non riesco a prendermi cura di nulla che mi riguardi? E nemmeno del resto, sia chiaro - perché? Cosa mi spinge a questo? Non è certo la cosa più facile del mondo, come quando una canzone ti trapassa dall'alto in basso, sferragliandoti coi suoi appuntiti progressi panciuti di società, di ozio e di grama polemica più sterile di una pecora clonata da un cedro acerbo e sfibrato
Contegno: per il presidente è questo che ci vuole, e anche le correzioni ortografiche, si sa.
"Ha chiamato il direttore" è quello che pensava Mandy mentre tornava a casa in una giornata di ottobre in cui niente più sembra essere meno di ciò che è e anche il presidente dei dottori capiva: l'invasione doveva iniziare e il dentifricio che controlla la mente avvia lo sterminio civile che i dissuasori garantiranno in nome della civilizzazione igienizzata con la Norma e le altre signore imparrucate della giustizia
Cadono le mie parole, rovesciate su un cuscino di tenera erba fresca e chiara coi capelli al vento e penso che non voglio invecchiare fino a che non riuscirò più a cagare o a pisciare senza mettermi in ridicolo, morirei, il veleno mi ucciderebbe, spero. Anch'io a volte piango quando scendo le scale, è che mi immedesimo troppo
Quante volte dovrò farlo ancora? Siamo tutti comici e centro del mondo e in realtà siamo cimici e cesso del mondo. Voglio andare più giù, ancora e sempre più a fondo fino a sciogliermi nella terra e mischiarmi alle radici degli alberi ed essere foglia e ramo e arbusto nella forma e per caso
Dal naso del buffone che sbuffa sulla muffa, la truffa ha trovato il cuore: è gelosia, si sapeva già da tempo. Un'idea datata ha valore minore? A volte sì, altre no, non c'è una legge universale. "Bel discorso" - mi disse il vice governatore "Grazie" - e gli passai mia moglie - se la lavorò per bene soprattutto sui fianchi e tra le cosce umide un nero buco putrido e avido di vita e sudore e forze. E poi falli come colonne in un tempio, belli e colorati anche loro sbarre di una gabbia che non è clemente, che arguisce risposte drenanti a bisogni più profondi
Come ti chiami?
Arnaldo Fanfani.
Come quel signore.
Sì, mister.
Ma solo di petto o anche di culo?
Dipende se foro timpani. Alla mattina ho lezione.
Come tutti i critici, e le campane.
E poi Dio, non si dimentichi di Dio. Al sabato il catechismo, alle dieci di domenica in chiesa: carte premio per un'infanzia acrilica, acritica, amorfa, disprezzabile, deprecabile, dentro nel vortice delle colpe dentro più a fondo;
Mi fa male.

lunedì 23 gennaio 2012

Mostro

Sono una vecchia strega che non sa vestirsi da sola, mi mangio a colazione con gli stracci dei rumeni
Con la mappa geografica del NordAmerica faccio guerre giuste agli indiani nel Gange e poi mangio
Mi hanno tolto le fotografie, sapevo sarebbe accaduto in questi giorni frenetici senza requie
Mi hanno detto poi, annegherai! e io soffocavo tra coltri di coperte rosee aggravata dal peso della vita
Muggivo nella speranza di essere riportata a ciò che detestavo profondamente: io non ero stata bambina
Poi però ricordo di aver iniziato a essere me, a un tratto, d'un colpo, come un passo nel gelo della notte disfatta, come il timbro di quella sera quando uscimmo da soli
Noi due e la terra che girava sotto i nostri piedi e m'inebriava, mi penetrava e io giacevo posseduta
Nessun mestiere e fumare le grandi nubi sotto il sole, sotto la luna e le stelle e poi indici usati lontani e sguardi e lacrime; lui mi parla
Il mio orecchio freme, l'orologio ticchetta di luci forti e ombre vane che fanno di Pinocchio un duce argentino, di quello un quell'altro e un patatrac che non finisce
Ma eccola, la coscienza che incalza!
Interrompe il mio lamento per proporre il suo, per produrre il suo, per un latte che è caglio, che è sperma, che è sputo, che è vergogna
E colpa:
Mi distruggo le labbra, sanguino dalle dita e da ogni orifizio, è ebola dottore? Ebola gay
Sazia di risa mi fingo più asciutta, di un arido incerto, quasi aperto che si può sentire il vento
Dolente decido di stendermi, distrutta, colma di lacrime dal petto in fiore e sboccio d'improvviso come Manon nel deserto, mi vedo! mi espando, finisco per terra
Sono una macchia informe che qualcuno pulirà.

domenica 22 gennaio 2012

Intervista nel mondo dei blocchi usati

D: buon giorno signor Fazizi, sono Sansubo della Compagnia delle Zattere Alate
R: la aspettavo, si sieda.
D: cosa pensa che le chiederebbe la gente se potesse aprire le sue celle e parlarle come l'urlo straziante della madre derubata?
R: probabilmente... Bill, giusto?
D: Kaganame, veramente.
R: oh certo, sia tranquillo. Dicevo che probabilmente farebbe appunti sul mio uso degli avverbi di modo, credo. Si arrampicherebbero fino in cima a quelle sciocche colonne, finché tutto intorno a loro sarà intriso di sabbia ariana. Capisce, Bill?
D: bene, ora andiamo sul difficile, John.
R: ricordo bene quell'estate Bill, il caldo era forte e noi piccoli e deboli. Morimmo una notte di luglio, inondati di perfidi sudori agrodolci, bruciati dalla nefandezza per niente riservata della nostra ascesa.
D: ma l'agone era pulito, se non sbaglio.
R: purtroppo è così.
D: l'altro giorno, lei ha parlato degli sbalzi ginnasici tra i capelli di Friso. Vuole parlarcene, John?
R: no. Mi accontenterò di dipingerle l'affresco dei miei fallimenti: un'opera mastodontica nel suo apparire incerta e banale, ma vera come la più finta delle menzogne.
D: cosa pensa del citazionismo?
R: in generale o nella sua morsa più rastremata?
D: come vuole, maestro.
R: mio caro Bill, maestro è chi insegna, io smonto. Mi sfoglio e mi disperdo ogni giorno, per sempre, per l'eternità. E un giorno, quando mi spegnerò, voi crederete che le mie pile, da qualche parte, continueranno a bruciare di energia e fuoco, ma non sarà così. Non siamo fanciulli.
D: e cosa siamo, allora, John?
R: se rientrasse nei miei propositi proporre l'avrei già fatto. Ma il vuoto resta vacuo anche con le più belle forme e piume, niente può scalfirlo. Ed è niente ciò che io propongo.
D: grazie ancora della sua disforia congiunta, John!
R: a presto, Zafifi.

Respiro male

Di conseguenza dormo male
Faccio sogni che minano la mia salute
Ossessioni ansiogene che tornano
E poi mi ricattano da sveglio
Mi attorciglio su di loro
Come un serpente, sì, ma il veleno?
Quello ce lo mettono loro
Da una ventina d'anni circa
Forse non lo fanno coscientemente
Sono così e basta, succede
Non posso certo incolparli.

mercoledì 18 gennaio 2012

Bozze

A meno un quarto vado a suicidarmi in bagno con lo spazzolino da denti
tanti solventi, uno stuzzicadenti, un lavavetri egiziano e Adriano e Traiano.
Non c'è bisogno che io mi ripeta con la teta, suppongo anacoreta ritto,
è ormai sconfitto, non tornerà in vitto né alloggio, lo sfoggio come appoggio.

lunedì 16 gennaio 2012

Mike Oldfield e biscotti alle 17.20

Questa è musica ineffabile, persa nel vuoto cosmico tra accelerazioni gravitazionali e seghe circolari coperte di gomma e forse versi voci grida sospiri ma gocce soprattutto gocce di suono che colano per tuffarsi nell'oceano del silenzio e perdersi e tornare luce. Vedevo il cancello di casa mia immerso nella nebbia e lo pensavo come un altare su cui immolarmi e forse questo è uno dei motivi per cui detesto i lampioni. Piccola nota biografica. Fare poesia è come un brusio d'amore. A volte non lo senti e ti incazzi. Poi bussano e ti spaventi.

domenica 15 gennaio 2012

...e il dolore

So buttare il mio tempo senza bisogno di una fottuta balia profumata d'incenso // Qualcuno ha detto cose su di me ma saltella su cubi di finti fiori di argilla e palme // Ricordo voci che mi dicono e bocche che sorridono e voglie terribili inconfessabili sconvenienti quanto i gesti dei garzoni di cioccolato // Ho perso di nuovo il conto dei minuti che mi separano da me stesso mentre vago tra le [...] che mi circondano, a cui mi aggrappo // i tuoi capelli cadono, ti resta la barba e gli occhiali non sono belli come i tuoi i miei, dove andrò senza le tue parole?

Una sera steso sulla base da solo

Sono linee curve quaggiù nel buio
E silenzio tra queste chitarre e gira
Mi hanno sparato in pieno petto hai decifrato?
Poi lo spazio si divide dal tempo e si contorce
Mi schiacciano sull'argenteo terremoto analfabeta
Queste gambe molli queste sensazioni vigliacche già note
E rassegnazione alla lampante mortalità dei colpi inferti
E fuoco nella gola in questo incubo al mandarino
Segnati poi ancora più fitti tra le grate celesti
Li senti congiurare sotto i tuoi piedi vacui e di pesci
La cartilagine scivola senza strappi e fa vestiti
Che le piume delle aquile non riesce, non può, è già andato.

martedì 10 gennaio 2012

Sogni costruiti

Fiero guerriero cacciatore di fate
Le tue mani scivolano sulle mie
Devi credermi, le fate! le fate!
Caduto nel vuoto, giù per un tubo
Mi graffio, sanguino, le fate!
Prendi lo scudo triangolare
E l'alabarda gloriosa, Ecco!
È il tuo momento, non svegliarti ora!
Battile! Battile! Battile! Battile! Ora!
Vai! mi devi credere, le ho viste
Non dico bugie né lampi blu nella notte.