martedì 21 settembre 2010

Foto ricordo

È notte e scrivo, sono troppo stanco per dormire. Nella testa si accavallano parole che non vorrei dover pensare, nenie che si ripetono all'infinito, fino alla nausea. Cornici vuote, piene di colori sbiaditi che non mi dicono nulla, mi appaiono come foto sfocate che guardo e non sento mie. Non ho strade da seguire o vie da trovare, vago perso nel labirinto che mi sono costruito attorno chissà come e chissà quando. Smetto di usare i versi, mi attacco alla prosa, alle sue putride mammelle che dispensano discorsi prolissi, inesatti, poco incisivi. Macchiato d'inchiostro, non vedo più il punto a cui tendere, a cui volgere frasi e periodi che vedo alternarsi davanti a me. Schiacciare questi tasti non mi procura alcun godimento, se non quello della sofferenza che proverò nel rileggere prossimamente queste stupidaggini. Ondeggio, mi immergo in ciò che vorrei sapere o avere e che mai sarà a mia disposizione. Sento questo dolore, ma resta lì, accucciato, non mi soddisfa, le passioni svaniscono in fretta e tutto torna piatto e grigio. E tu, te che vorrei qui, vicino a me, ad ascoltarmi mentre sto zitto, a parlarmi della tua giornata, dei tuoi sogni, delle peggio cavolate che possono passarti per la testa, dove sei? Là, lontana, raggiungibile ma non abbastanza. Se allungo una mano, perché tocco lo schermo anziché il tuo braccio? E le domande si affastellano, non lo so, agire è sempre stato così difficile. Ho paura di muovermi e di restare fermo. Ho paura di sbagliare e di non tentare, di sbagliare in ogni caso. E hanno voglia questi esperti della vita a dire che rimpianto e rimorso hanno valenze differenti. Cosa cambia se provo e fallisco? È uguale, avrò fallito allo stesso modo e i miei capelli non cadranno prima. Ogni tanto questo pensiero fugace si erge e sovrasta tutti gli altri e non sento più nulla, solo te, là. Ma poi ripiomba giù e si torna alla normalità, alla criptica osservazione di simboli mistici che si riuniscono in cerchio per dirmi che non esisto. Dimentico lettere e parole, intere frasi, tanto non importa a nessuno. Annoio me stesso con solitarie discussioni allegoriche su Dante e le sue idee politiche, ascolto anarchici francesi gridare Cane! allo scheletro di De Gaulle, guardo un testo svolgersi sul bianco di pagina. E dunque? Cosa non ho fatto di sbagliato per non meritarmi questo? Futili punti interrogativi si intrecciano sulle ginocchia delle arpie, leggo e sorrido, torno all'inizio, ingerisco deuterio e trizio, volo tra argomenti scontati e già toccati, terribilmente inflazionati, poi giaccio come morto, ma non nel mio porto e me ne accorgo, lo sento: è agghiacciante il suo lamento. Spegnere il cervello è ardua impresa, oggi più che mai. E già pochi secondi dopo che ho scritto ho cambiato idea, l'ho rimodellata, ripensata, ricreata in altri termini e ho bisogno di riprenderla, ritrattarla, ripetermi, affrontare di nuovo tutto per ritrovarmi esattamente nella stessa situazione di prima, ma con nuove tesi, nuove antitesi, paradossali sintesi che continueranno ad alimentare un ciclo dialettico che, spero e temo, non si esaurirà mai. Timeo ut non. Bella costruzione. Come tutti i costrutti latini, del resto. Questi fiori di cartapesta tra sogni color mandarino mi spiazzano, mi sconfortano, mi fortificano, mi galvanizzano, mi annoiano. Mi spingono a un livello ulteriore di coscienza, mi sussurrano misteri arcaici persi nell'oblio delle terre ancestrali. La mamma delle mamme ci porge la mano. La afferriamo grati e speranzosi. Ma è gelida, ci accorgiamo che ha uno strano colore, cerchiamo gli occhi ma non ci sono, bianchi, inespressivi. Stringiamo più forte, non molliamo la presa, non possiamo credere che sia davvero così. Non abbiamo notato nulla eppure attorno a noi tutto è morto. Non esiste più ciò che ricordavamo. Non ricordiamo. Non sappiamo. È un baratro quello in cui ci troviamo, ma non stiamo cadendo. Siamo aggrappati a un pezzo di carne fredda e rigida. Analizziamo: come siamo arrivati fin qui? Perché non sono più solo io, ma il genere umano nella sua interezza a trovarsi nella mia situazione? Domande inutili, come sempre, ma le uniche che mi sovvengono. Dovrei preoccuparmi della mancanza di terreno sotto i piedi e invece no. La mente vaga e si perde, ancora e ancora.

OSSERVAZIONE

Quadri quadrati tarati annebbiati
mai mi avrete né voi né Talete
le rime interne, per ciò che concerne
l'uso dell'io, cadono spesso nell'oblio.

sabato 18 settembre 2010