sabato 28 gennaio 2012

Nell'orecchio di Velluto Blu

C'è un ponte per sempre che nessuno chiederà di rilasciare
Una giostra sinistra ruota in senso orario mentre aspetto una nuova sinfonia
Iniziano i violini che scivolano aspri sulle pelli suine e poi altre pelli ora percosse
Un organo distorto mi richiama nella chiesa dei miei sensi
Si alza tutto, schiacciato dai piedi

Ora rimbalza tra le sporcizie del mio corpo, negli anfratti perversi delle mie sinottiche sinapsi
Mi prende uno sconforto cieco, un vecchio polacco che beve assenzio e liquore dei frati, quello che mi fece vomitare
Anche allora è stata vergogna: terribile inficiata da stoltezze rigorose come un film
Adesso che scrivo però è come se piangessi come se sentissi ogni singolo briciolo di me scivolarmi sulle guance cadere per terra e annullarsi di nuovo
In un bagno di materia che non pensa che non si identifica che non inneggia che non è
Solo dissoluzione come un disco rotto senza più speranza, come una sorpresa africana di fede e speranza
Dio è un passero rosso.
Come il babbo natale che si prostituisce su internet: è così brutta...
È notte nel mio pensiero, fuori dalla finestra c'è il buio di una tapparella e una lampadina verde funge da sole mentre guardo le mie dita danzare al ritmo di un quartetto di speranza
Hanno parole nuove, non sono di rabbia e non sono migliori, solo altri pomodori da aggiungere alla nostra insalata della decenza
Una società muore se il dissenso viene istituzionalizzato?
Cercano di farmi rimanere sui binari e ho paura che ci riusciranno, che diventerò un bravo treno e arriverò in orario e diventerò anch'io orribile come voi
E anche questo mi fa piangere e ho paura perché non capisco
Saluti persone sbagliate nei posti sbagliati, e sbagli il tempo della risposta e ancora è vergogna e tristezza immonda e pesante che di nuovo cala sotto i ponti della tua crisi
Non sono pronto per affrontare questo, voglio scavare un buco e nascondermi e mangiare la terra e gridare che sono morto che ormai non potete farci più niente che non avete più potere che non mi metterete mai più in imbarazzo con me stesso. Io sono cattivo, devo essere punito
Non mi nutro di vacche sacre e non ho un corpo santo da sgranocchiare, sento talvolta ma sono troppo stupido per formalizzare una ricerca e preferisco fingermi disinvoltamente infastidito dalle bestemmie a forma di cane che giungono alle mie parabole, non ci sono spazi per le intolleranze alimentari di questi maiali del nord
SECESSIONE IN PARADISO

La notte è calata
triste e sporca
ci nasconde le fruit
banale où nous mordons

Poi un segno nello spazio
topazio grezzo e un topo
grigio dal manto rosso
e più grinta per tutti

(1453)
Non credo sia giusto dire che quello che faccio è sbagliato; certo!, potrebbe essere migliore, ma anche il mondo potrebbe essere più bello, eppure non mi sembra che si faccia molto
Quello che voglio dire, Signore, è che è difficile pretendere virtù da se stessi quando il resto intorno è come muco raffermo
Non è facile, non è facile, non è facile, non è facile, non è facile, non è facile, quante volte l'ho ripetuto nella mia mente? perché percepiamo tutto in base quattro, perché certe cose mi affogano più di altre? E perché sono quelle sbagliate?
Come faccio ad accettare?
Come fate voi, ogni giorno?
Devo violentarmi: non voglio essere cattivo: però consequenziale: anteporre i fatti alle tradizioni orali: risultare come il ghiaccio nel fuoco e disperdermi nell'aria senza dover più bussare o camminare o guidare o pagare e potrò girare senza dover scegliere e sarò puro volere divino e soffio di angeliche correnti asiatiche
Guardo i vostri corpi in esposizione come scrigni di amara violenza persecutrice, sono più marcio di voi, parlo molto meno e più chiaro e poi ripeto che restandomene seduto col culo dolorante non succederà niente, ma io non so fare nient'altro. Lascia che tuo figlio faccia da sé le sue cose. Mamma, so parlare da solo, lo so che sono rosso e sudo, ma non devi aiutarmi, non voglio chiedergli questo.
Una volta, in cima a una collina c'era una canzone, niente c'era di sbagliato
Come si fa a parlare seriamente con chi si è sempre scherzato? Vedo pezzi dei miei ricordi come barattoli vuoti di fagioli azzurri sul tavolo dell'inettitudine - sono solo schemi, non esistono le parole adatte - mi tremano le mani e scaccio le mosche dell'innocenza alla ricerca delle nefandezze robuste degli animi più deboli e infidi
Agiscono come bestie istintive che prive di apparati cognitivi complessi sbranano ogni centimetro della realtà e le invidio e bramo la loro compagnia, ma mi stufo presto. Di tutto, anche di te e di noi e di tutti e mi vergogno di questo. Mi vergogno di tutto me stesso e mi ripiego su di me in una crisalide di lacrime nascoste nelle canzoni di Lolli
Poi premo pausa ed esco col cane.
Ho appena vissuto un momento che mi è stato descritto da una persona: è successo per davvero in mezzo a un fluttuare di ricordi e pensieri tristi e movimenti cerebrali pesanti come macigni che schiacciano il cuore fino al pianto e la faccia inondata di sangue in chiesa e la pubblica umiliazione alla domenica mattina: ahi!, quant'a dir qual'era è cosa dura
Perché non ho una cosa che funzioni bene? E perché non riesco a prendermi cura di nulla che mi riguardi? E nemmeno del resto, sia chiaro - perché? Cosa mi spinge a questo? Non è certo la cosa più facile del mondo, come quando una canzone ti trapassa dall'alto in basso, sferragliandoti coi suoi appuntiti progressi panciuti di società, di ozio e di grama polemica più sterile di una pecora clonata da un cedro acerbo e sfibrato
Contegno: per il presidente è questo che ci vuole, e anche le correzioni ortografiche, si sa.
"Ha chiamato il direttore" è quello che pensava Mandy mentre tornava a casa in una giornata di ottobre in cui niente più sembra essere meno di ciò che è e anche il presidente dei dottori capiva: l'invasione doveva iniziare e il dentifricio che controlla la mente avvia lo sterminio civile che i dissuasori garantiranno in nome della civilizzazione igienizzata con la Norma e le altre signore imparrucate della giustizia
Cadono le mie parole, rovesciate su un cuscino di tenera erba fresca e chiara coi capelli al vento e penso che non voglio invecchiare fino a che non riuscirò più a cagare o a pisciare senza mettermi in ridicolo, morirei, il veleno mi ucciderebbe, spero. Anch'io a volte piango quando scendo le scale, è che mi immedesimo troppo
Quante volte dovrò farlo ancora? Siamo tutti comici e centro del mondo e in realtà siamo cimici e cesso del mondo. Voglio andare più giù, ancora e sempre più a fondo fino a sciogliermi nella terra e mischiarmi alle radici degli alberi ed essere foglia e ramo e arbusto nella forma e per caso
Dal naso del buffone che sbuffa sulla muffa, la truffa ha trovato il cuore: è gelosia, si sapeva già da tempo. Un'idea datata ha valore minore? A volte sì, altre no, non c'è una legge universale. "Bel discorso" - mi disse il vice governatore "Grazie" - e gli passai mia moglie - se la lavorò per bene soprattutto sui fianchi e tra le cosce umide un nero buco putrido e avido di vita e sudore e forze. E poi falli come colonne in un tempio, belli e colorati anche loro sbarre di una gabbia che non è clemente, che arguisce risposte drenanti a bisogni più profondi
Come ti chiami?
Arnaldo Fanfani.
Come quel signore.
Sì, mister.
Ma solo di petto o anche di culo?
Dipende se foro timpani. Alla mattina ho lezione.
Come tutti i critici, e le campane.
E poi Dio, non si dimentichi di Dio. Al sabato il catechismo, alle dieci di domenica in chiesa: carte premio per un'infanzia acrilica, acritica, amorfa, disprezzabile, deprecabile, dentro nel vortice delle colpe dentro più a fondo;
Mi fa male.

lunedì 23 gennaio 2012

Mostro

Sono una vecchia strega che non sa vestirsi da sola, mi mangio a colazione con gli stracci dei rumeni
Con la mappa geografica del NordAmerica faccio guerre giuste agli indiani nel Gange e poi mangio
Mi hanno tolto le fotografie, sapevo sarebbe accaduto in questi giorni frenetici senza requie
Mi hanno detto poi, annegherai! e io soffocavo tra coltri di coperte rosee aggravata dal peso della vita
Muggivo nella speranza di essere riportata a ciò che detestavo profondamente: io non ero stata bambina
Poi però ricordo di aver iniziato a essere me, a un tratto, d'un colpo, come un passo nel gelo della notte disfatta, come il timbro di quella sera quando uscimmo da soli
Noi due e la terra che girava sotto i nostri piedi e m'inebriava, mi penetrava e io giacevo posseduta
Nessun mestiere e fumare le grandi nubi sotto il sole, sotto la luna e le stelle e poi indici usati lontani e sguardi e lacrime; lui mi parla
Il mio orecchio freme, l'orologio ticchetta di luci forti e ombre vane che fanno di Pinocchio un duce argentino, di quello un quell'altro e un patatrac che non finisce
Ma eccola, la coscienza che incalza!
Interrompe il mio lamento per proporre il suo, per produrre il suo, per un latte che è caglio, che è sperma, che è sputo, che è vergogna
E colpa:
Mi distruggo le labbra, sanguino dalle dita e da ogni orifizio, è ebola dottore? Ebola gay
Sazia di risa mi fingo più asciutta, di un arido incerto, quasi aperto che si può sentire il vento
Dolente decido di stendermi, distrutta, colma di lacrime dal petto in fiore e sboccio d'improvviso come Manon nel deserto, mi vedo! mi espando, finisco per terra
Sono una macchia informe che qualcuno pulirà.

domenica 22 gennaio 2012

Intervista nel mondo dei blocchi usati

D: buon giorno signor Fazizi, sono Sansubo della Compagnia delle Zattere Alate
R: la aspettavo, si sieda.
D: cosa pensa che le chiederebbe la gente se potesse aprire le sue celle e parlarle come l'urlo straziante della madre derubata?
R: probabilmente... Bill, giusto?
D: Kaganame, veramente.
R: oh certo, sia tranquillo. Dicevo che probabilmente farebbe appunti sul mio uso degli avverbi di modo, credo. Si arrampicherebbero fino in cima a quelle sciocche colonne, finché tutto intorno a loro sarà intriso di sabbia ariana. Capisce, Bill?
D: bene, ora andiamo sul difficile, John.
R: ricordo bene quell'estate Bill, il caldo era forte e noi piccoli e deboli. Morimmo una notte di luglio, inondati di perfidi sudori agrodolci, bruciati dalla nefandezza per niente riservata della nostra ascesa.
D: ma l'agone era pulito, se non sbaglio.
R: purtroppo è così.
D: l'altro giorno, lei ha parlato degli sbalzi ginnasici tra i capelli di Friso. Vuole parlarcene, John?
R: no. Mi accontenterò di dipingerle l'affresco dei miei fallimenti: un'opera mastodontica nel suo apparire incerta e banale, ma vera come la più finta delle menzogne.
D: cosa pensa del citazionismo?
R: in generale o nella sua morsa più rastremata?
D: come vuole, maestro.
R: mio caro Bill, maestro è chi insegna, io smonto. Mi sfoglio e mi disperdo ogni giorno, per sempre, per l'eternità. E un giorno, quando mi spegnerò, voi crederete che le mie pile, da qualche parte, continueranno a bruciare di energia e fuoco, ma non sarà così. Non siamo fanciulli.
D: e cosa siamo, allora, John?
R: se rientrasse nei miei propositi proporre l'avrei già fatto. Ma il vuoto resta vacuo anche con le più belle forme e piume, niente può scalfirlo. Ed è niente ciò che io propongo.
D: grazie ancora della sua disforia congiunta, John!
R: a presto, Zafifi.

Respiro male

Di conseguenza dormo male
Faccio sogni che minano la mia salute
Ossessioni ansiogene che tornano
E poi mi ricattano da sveglio
Mi attorciglio su di loro
Come un serpente, sì, ma il veleno?
Quello ce lo mettono loro
Da una ventina d'anni circa
Forse non lo fanno coscientemente
Sono così e basta, succede
Non posso certo incolparli.

mercoledì 18 gennaio 2012

Bozze

A meno un quarto vado a suicidarmi in bagno con lo spazzolino da denti
tanti solventi, uno stuzzicadenti, un lavavetri egiziano e Adriano e Traiano.
Non c'è bisogno che io mi ripeta con la teta, suppongo anacoreta ritto,
è ormai sconfitto, non tornerà in vitto né alloggio, lo sfoggio come appoggio.

lunedì 16 gennaio 2012

Mike Oldfield e biscotti alle 17.20

Questa è musica ineffabile, persa nel vuoto cosmico tra accelerazioni gravitazionali e seghe circolari coperte di gomma e forse versi voci grida sospiri ma gocce soprattutto gocce di suono che colano per tuffarsi nell'oceano del silenzio e perdersi e tornare luce. Vedevo il cancello di casa mia immerso nella nebbia e lo pensavo come un altare su cui immolarmi e forse questo è uno dei motivi per cui detesto i lampioni. Piccola nota biografica. Fare poesia è come un brusio d'amore. A volte non lo senti e ti incazzi. Poi bussano e ti spaventi.

domenica 15 gennaio 2012

...e il dolore

So buttare il mio tempo senza bisogno di una fottuta balia profumata d'incenso // Qualcuno ha detto cose su di me ma saltella su cubi di finti fiori di argilla e palme // Ricordo voci che mi dicono e bocche che sorridono e voglie terribili inconfessabili sconvenienti quanto i gesti dei garzoni di cioccolato // Ho perso di nuovo il conto dei minuti che mi separano da me stesso mentre vago tra le [...] che mi circondano, a cui mi aggrappo // i tuoi capelli cadono, ti resta la barba e gli occhiali non sono belli come i tuoi i miei, dove andrò senza le tue parole?

Una sera steso sulla base da solo

Sono linee curve quaggiù nel buio
E silenzio tra queste chitarre e gira
Mi hanno sparato in pieno petto hai decifrato?
Poi lo spazio si divide dal tempo e si contorce
Mi schiacciano sull'argenteo terremoto analfabeta
Queste gambe molli queste sensazioni vigliacche già note
E rassegnazione alla lampante mortalità dei colpi inferti
E fuoco nella gola in questo incubo al mandarino
Segnati poi ancora più fitti tra le grate celesti
Li senti congiurare sotto i tuoi piedi vacui e di pesci
La cartilagine scivola senza strappi e fa vestiti
Che le piume delle aquile non riesce, non può, è già andato.

martedì 10 gennaio 2012

Sogni costruiti

Fiero guerriero cacciatore di fate
Le tue mani scivolano sulle mie
Devi credermi, le fate! le fate!
Caduto nel vuoto, giù per un tubo
Mi graffio, sanguino, le fate!
Prendi lo scudo triangolare
E l'alabarda gloriosa, Ecco!
È il tuo momento, non svegliarti ora!
Battile! Battile! Battile! Battile! Ora!
Vai! mi devi credere, le ho viste
Non dico bugie né lampi blu nella notte.