Cambiamo nome, io so essere Anna, tu puoi essere uno qualunque, già lo sei
e quando i savij arriveranno, gli si dirà, gli si racconterà di quella volta quando
come corde sottendevamo archi e non c'erano pilastri a sostenerle perché io
ero Anna. E pazienza i desideri, pazienza i capelli, al diavolo i santi, rivoglio i
miei dei. Con quale furia devo darmi al valzer, con che boria devo costruirmi
un carattere, perché devo andare a capo per dire che sto facendo poesia?
Magari non è nemmeno vero. Voglio guardarmi e dirmi che non è giusto, che
non devo trattarmi così che poi mi tornerà tutto questo male che mi sono fatto.
Solo tempeste, ricordo qualcuno parlare di assenze e poi liquori polacchi e altri
suoni e altre voci e sogni scomparsi nell'oblio. E qualcuno piange e decostruisce
e le parole perdono e vinco io, smosso e non smussato da un labor limae agitato
più simile a pop art che a canoni classicisti o radiotelevisivi. Mentre invento
metriche ostili al bello mi nutro di crepuscoli e di lunghi addii e di futuri bruciati
e di chiome scomposte e di progressioni e di tutto ciò che non sarò mai.
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