venerdì 31 dicembre 2010

So che è l'ultimo dell'anno. So che dovrei essere fuori a festeggiare. Ma non lo sono. Sono qui a scrivere questo misero post su questo misero blog. Ho fallito. Miseramente.

Buon anno.

La redazione di Non-Poesia

sabato 27 novembre 2010

SUPPONIAMO UN ODORE

Ci sono dei giorni
in cui le parole sono stanche
sono quelli i momenti giusti
per far ritorno a casa
tra versi e sommi a capo
e abbondanti razioni di odio
tra non senso e pateticità
tra voglia di volare e di morire
che forse poi sono la stessa cosa.

giovedì 11 novembre 2010

C'era una volta il cibo

Stasera siamo messi male, mancano le cose, mancano le persone, mancano le idee, manca tutto. E allora perché sto maledetto cervello non si spegne? Perché mi serve mezzo litro di whisky e un sapore di polistirolo marcio in bocca per riuscire a non pensare? Oggi, girando su internet per comprare i libri dell'università, ho scoperto che scrivendo recensioni su uno di quei siti, poi si possono ottenere sconti sui prodotti. Suppongo però che non vogliano viaggi ipermnesici, quindi non so se sono adatto a ciò. Non so se sono adatto. È inutile cercare di restringere il campo delle mie incertezze, continueranno a essere sempre troppe e a impedirmi di impormi su me stesso lasciandomi in questo limbo decisionale in cui prima o poi annegherò. Nel limbo si affoga? Prendetelo per buono. Parlate solo quando c'è da criticare. Bravi, i miei più sentiti complimenti. E anche quelli meno, che se no, porelli, stan sempre lì a fare nulla e si annoiano più di noi. Il problema sarebbe se si mettessero a pensare. Ve lo immaginate? Un complimento poco sentito che si mette a speculare su una cosa qualsiasi. Non voglio sapere cosa ne viene fuori. La quintessenza della depressione più nera. Mi sono distratto, non mi ricordo più di cosa stessi parlando e non mi va di rileggere, perciò si prosegue. Sempre avanti con la Tre. Anche col Duce era così, se non sbaglio. Ci stanno forse plagiando? Oh che modo comodo che ho trovato per scrivere. No, beh, mi sento un pochino portatore di handicap, però non posso dire che sia scomodo. Scomodo mentalmente, ecco. L'anno scorso il professore di Storia Medievale, in amicizia Kit Carson, ogni due parole ne diceva una tutta biascicata, poi aggiungeva un Ecco particolarmente enfatico e tirava un sospiro da polmone incatramato che faceva tremare l'aula. Però bravo, non c'è che dire, ha anche stretti rapporti con i medievisti della Sorbona, che secondo un mio amico si chiama Sulmona, quindi tanto di cappello signor Kit. L'ho fatto ancora, che stavo dicendo? Vedo un Kit all'inizio della riga, ma lo sguardo non va più indietro. Non riesco a capire, sarà per via del fatto che se mi mettessi a riguardare, cancellerei tutto. Come ai vecchi tempi, però scritto un po' meglio. Qualcuno mi ha mandato una mail. Vado a vedere. Volete sbirciare? Prima io, poi eventualmente voi. O più presumibilmente tu. Yahoo! Answers: Hai ricevuto un messaggio da un altro utente! Cosa ci sarà di tanto speciale da mettere tutti sti punti esclamativi, lo sanno solo loro. Ah, è Mostro con le sue solite menate. A voi posso dirlo liberamente, certi giorni non la sopporto perché magari attacca a scrivermi, le rispondo, continuiamo così due, tre volte e poi via, volatilizzata senza dire niente. Almeno un Mettiti il cuore in pace che ho finito di lederti tutto ciò che c'era da ledere. E va beh, prendiamola così com'è. Bene, sono riuscito a resistere alla citazione del trentunesimo articolo della costituzione irlandese. Un articolaccio sulle libertà di stampa e di espressione in generale, mi pare. Non lo so, non ho voglia di controllare. Oh cavolo, adesso pure un sms è arrivato. Vediamo di chi è. Che palle, odio la mia emotività. Non potevano applicarmi una lastra di metallo da qualche parte ed evitarmi tutto questo? No. Eh, me n'ero accorto. Ho risposto, è per questo che non stavo scrivendo. Non stavo scrivendo qui, ma sul cellulare sì, ok, cavolo quanto siete pignoli. Io volevo anche rivelarvi una cosa, però non mi sembra il caso. Io sempre a trattarvi bene e voi sempre malissimo. Venite qui, leggete con scarsa attenzione, mettete una stellina distratta, se proprio siete in giornata mi scrivete due insulti come risposta e ve ne andate. Perché non mi scrivete mai qualcosa di bello corposo? Qualcosa che io possa a mia volta leggere e interiorizzare e fare mio. Non mi pare giusto che io stia qui a svuotarmi e che non ci sia nessuno a riempirmi. Sì, bravi, che bel doppio senso che avete trovato, non ci avevo mica pensato. Ma fatemi il favore. Oh, un altro messaggio di posta elettronica. Ma che è, na persecuzione? Sì, è una persecuzione. Ve lo assicuro. Ho scritto pochissimo, per ora. Non so se e quanto avrò da dire ancora. Sempre che ce l'abbia avuto fino a ora. Di solito quando arrivo a dire queste cose è perché sono quasi alla fine. Proviamo a smentirmi? Lo so che è il vostro sport preferito. Forza non fate i timidi, inforcate gli occhiali da lettura e seguitemi fino al sole. Ricordo che una volta un tizio aveva espresso la sua speranza che tutto ciò fosse frutto di un copia-incolla di qualcun altro e non di un'improvvisazione jazzistica per tastiera e blocco note. Grazie a Dio le tue speranze sono risultate vane, mio caro Tizio. E anche le vostre, signori Caio e Sempronio. Cosa ricaverei dal furto di elucubrazioni? Perché rubare vaneggi altrui quando ci sono i miei a disposizione? Perché domandarsi perché e non come mai o per qual motivo? Credo perché non sono proprio così intercambiabili nella nostra mente. Perché ha una sfumatura più generica, che vai sempre bene; invece come mai è più drammatico, o comunque implica un grado di curiosità diverso; per qual motivo, poi, peggio che peggio, troppo formale, troppo serio. Mi ci vedete con una canna in mano e la bottiglia nell'altra a chiedere a Joe per qual motivo mi stia guardando con aria da cane bastonato? Ecco. Oddio, un sms e una mail contemporaneamente. Qui mi vogliono morto. È un complotto. Prima il messaggino, direi. Ok, adesso la mail. Che vita intensa e piena di impegni. Aprendo il blocco note a tutto schermo, mi mancano tre dita per riempire la pagina. Ce la posso fare, anche se so già che poi non ci starà nella domanda di Yabadabadù. Col punto esclamativo. Vorrà dire che userò i dettagli aggiuntivi. Servono a quello, no? Ad aggiungere dettagli. Noi siamo Ioneschiani secondo voi? Badiamo più ai dettagli o alla totalità? Me lo sono sempre chiesto: io come sono? Voi come siete? Non riesco a definire le persone, mi fa molta fatica descriverle. Anche fisicamente, sì. Perché io guardo, ovvio, ma è più la sensazione che ricevo a colpirmi. Ok, sto iniziando a cancellare le cose che scrivo, non è buon segno. Dai, però, mi mancano solo due dita e mezzo. Fa niente, non ci riesco, ho esaurito le risorse. No, non è vero, ma ho esaurito quelle spontanee, dovrei sforzarmi per continuare. E se mi sforzo non mi piace quello che partorisco e se non mi piace lo cancello e se lo cancello alla fine non ho risolto niente, quindi con buona pace di tutti vi saluto. Un dito e mezzo. Amen.

martedì 21 settembre 2010

Foto ricordo

È notte e scrivo, sono troppo stanco per dormire. Nella testa si accavallano parole che non vorrei dover pensare, nenie che si ripetono all'infinito, fino alla nausea. Cornici vuote, piene di colori sbiaditi che non mi dicono nulla, mi appaiono come foto sfocate che guardo e non sento mie. Non ho strade da seguire o vie da trovare, vago perso nel labirinto che mi sono costruito attorno chissà come e chissà quando. Smetto di usare i versi, mi attacco alla prosa, alle sue putride mammelle che dispensano discorsi prolissi, inesatti, poco incisivi. Macchiato d'inchiostro, non vedo più il punto a cui tendere, a cui volgere frasi e periodi che vedo alternarsi davanti a me. Schiacciare questi tasti non mi procura alcun godimento, se non quello della sofferenza che proverò nel rileggere prossimamente queste stupidaggini. Ondeggio, mi immergo in ciò che vorrei sapere o avere e che mai sarà a mia disposizione. Sento questo dolore, ma resta lì, accucciato, non mi soddisfa, le passioni svaniscono in fretta e tutto torna piatto e grigio. E tu, te che vorrei qui, vicino a me, ad ascoltarmi mentre sto zitto, a parlarmi della tua giornata, dei tuoi sogni, delle peggio cavolate che possono passarti per la testa, dove sei? Là, lontana, raggiungibile ma non abbastanza. Se allungo una mano, perché tocco lo schermo anziché il tuo braccio? E le domande si affastellano, non lo so, agire è sempre stato così difficile. Ho paura di muovermi e di restare fermo. Ho paura di sbagliare e di non tentare, di sbagliare in ogni caso. E hanno voglia questi esperti della vita a dire che rimpianto e rimorso hanno valenze differenti. Cosa cambia se provo e fallisco? È uguale, avrò fallito allo stesso modo e i miei capelli non cadranno prima. Ogni tanto questo pensiero fugace si erge e sovrasta tutti gli altri e non sento più nulla, solo te, là. Ma poi ripiomba giù e si torna alla normalità, alla criptica osservazione di simboli mistici che si riuniscono in cerchio per dirmi che non esisto. Dimentico lettere e parole, intere frasi, tanto non importa a nessuno. Annoio me stesso con solitarie discussioni allegoriche su Dante e le sue idee politiche, ascolto anarchici francesi gridare Cane! allo scheletro di De Gaulle, guardo un testo svolgersi sul bianco di pagina. E dunque? Cosa non ho fatto di sbagliato per non meritarmi questo? Futili punti interrogativi si intrecciano sulle ginocchia delle arpie, leggo e sorrido, torno all'inizio, ingerisco deuterio e trizio, volo tra argomenti scontati e già toccati, terribilmente inflazionati, poi giaccio come morto, ma non nel mio porto e me ne accorgo, lo sento: è agghiacciante il suo lamento. Spegnere il cervello è ardua impresa, oggi più che mai. E già pochi secondi dopo che ho scritto ho cambiato idea, l'ho rimodellata, ripensata, ricreata in altri termini e ho bisogno di riprenderla, ritrattarla, ripetermi, affrontare di nuovo tutto per ritrovarmi esattamente nella stessa situazione di prima, ma con nuove tesi, nuove antitesi, paradossali sintesi che continueranno ad alimentare un ciclo dialettico che, spero e temo, non si esaurirà mai. Timeo ut non. Bella costruzione. Come tutti i costrutti latini, del resto. Questi fiori di cartapesta tra sogni color mandarino mi spiazzano, mi sconfortano, mi fortificano, mi galvanizzano, mi annoiano. Mi spingono a un livello ulteriore di coscienza, mi sussurrano misteri arcaici persi nell'oblio delle terre ancestrali. La mamma delle mamme ci porge la mano. La afferriamo grati e speranzosi. Ma è gelida, ci accorgiamo che ha uno strano colore, cerchiamo gli occhi ma non ci sono, bianchi, inespressivi. Stringiamo più forte, non molliamo la presa, non possiamo credere che sia davvero così. Non abbiamo notato nulla eppure attorno a noi tutto è morto. Non esiste più ciò che ricordavamo. Non ricordiamo. Non sappiamo. È un baratro quello in cui ci troviamo, ma non stiamo cadendo. Siamo aggrappati a un pezzo di carne fredda e rigida. Analizziamo: come siamo arrivati fin qui? Perché non sono più solo io, ma il genere umano nella sua interezza a trovarsi nella mia situazione? Domande inutili, come sempre, ma le uniche che mi sovvengono. Dovrei preoccuparmi della mancanza di terreno sotto i piedi e invece no. La mente vaga e si perde, ancora e ancora.

OSSERVAZIONE

Quadri quadrati tarati annebbiati
mai mi avrete né voi né Talete
le rime interne, per ciò che concerne
l'uso dell'io, cadono spesso nell'oblio.

sabato 18 settembre 2010